Sentir parlare di Aikido tradizionale che conserva tutti gli insegnamenti trasmessi dal fondatore senza la minima contaminazione non è certo una novità, così come non è una novità incontrare invece sostenitori della tesi che siano necessarie evoluzioni che adattino l’Aikido alla società odierna. La domanda che sarebbe necessario porsi è se e come l’Aikido possa rappresentare un’opportunità per la nostra società e quali benefici una persona possa trarne nel praticarlo. L’Aikido è un’arte marziale moderna (non è scopo di questo scritto ripercorrerne la storia) che trae origine da altre discipline antiche che venivano usate in battaglia in un contesto prevalentemente feudale (termine occidentale che rende però più chiaro quale fosse la struttura della società giapponese in cui queste si svilupparono).
Negli anni Settanta, periodo che per molti è tutt’oggi mitico, ma che andrebbe analizzato con maggiore attenzione, le arti marziali giapponesi iniziarono a diffondersi in occidente, grazie alle basi militari di Okinawa che importarono discipline come Judo e Karate negli Usa, per poi via via aprire la strada anche all’Aikido. All’epoca ci fu un proliferare di Dojo praticamente in ogni città e l’Italia non fece eccezione a questa tendenza: svariati maestri e cinture nere trasferirono il bagaglio di conoscenze apprese da Maestri Giapponesi, che non di rado fondarono scuole anche nel nostro paese. Un altro grande impulso che ne contribuì alla diffusione venne poi dal cinema, di cui Bruce Lee ne fu il più geniale interprete, non solo per le innegabili capacità tecniche, ma per la straordinaria intuizione di adattare i film, che fino a quel momento erano prettamente coreografici, alle esigenze della società occidentale dell’epoca.
L’insegnamento delle arti marziali avveniva secondo la logica “guarda – copia – impara e non farti domande, capirai in seguito”. L’informazione dell’epoca non è certo quella con cui abbiamo a che fare oggi e purtroppo, un allievo era “costretto” ad adattarsi agli insegnamenti del Maestro disponibile per la disciplina scelta nella sua città o paese. Per fortuna oggi la situazione è cambiata, le informazioni sono immediatamente fruibili, così come filmati di ogni tipo, documentazione all’epoca impossibile da trovare oggi con un paio di click è direttamente accessibile dal proprio dispositivo. Questa rivoluzione ha portato ad una crisi innegabile delle arti marziali tradizionali ed i motivi solitamente citati sono: le persone vogliono immediatezza e quindi si affidano ad altri corsi (BJJ, Krav Maga, MMA) dove l’aspetto culturale è minore e le tecniche più immediate (tesi, tra le altre cose, piuttosto discutibile); le persone non possono aspettare dieci anni prima di riuscire ad applicare le tecniche, ecc. È singolare però come nessuno ponga l’accento sul domandarsi quale potrebbe essere lo scopo di iniziare un percorso marziale e soprattutto, se gli insegnati che ci sono oggi sono in grado di poter accompagnare l’allievo attraverso questo percorso. Facciamo un esempio concreto: nella nostra società l’esigenza di difendersi da attacchi è sempre minore, e nella maggior parte delle aggressioni le arti marziali non ci sarebbero di grande aiuto (a meno che qualcuno non creda di poter fronteggiare qualcuno con coltello o pistola), ma sono in evidente aumento i casi di disagio sociale che si manifesta in molti modi. La domanda quindi che ci si dovrebbe porre è la seguente:” L’Aikido potrebbe rappresentare un valido strumento per raggiungere un benessere psicofisico che mi aiuti ad affrontare le difficoltà che inevitabilmente incontrerò?”
A mio avviso la risposta è assolutamente affermativa, e proprio qui sta il perno centrale della questione. Non trovo illecito porsi dubbi se gli insegnanti presenti oggi sul nostro territorio siano in grado di portare quell’evoluzione di cui oggi l’Aikido ha estremo bisogno. Non è più possibile pensare di insegnare come trent’anni fa “tu fai ciò che ti dico e cerca di copiare e forse un giorno capirai”, è necessario avere una preparazione molto più ampia perché altrimenti il rischio è quello di non riuscire a trasmettere nulla e probabilmente ritrovarsi senza alcun allievo. L’insegnante si deve porre domande, così come se le deve porre l’allievo. Che senso ha praticare in maniera tradizionale “tirando” leve estreme per arrivare a casa dolorante (si vadano a vedere i praticanti che hanno sostenuto questa teoria come sono in forma adesso che sono invecchiati) come se dovessi essere pronto a chissà quale battaglia? Non sarebbe meglio lavorare sui principi senza provocare dolore ma essere ugualmente efficaci? Introdurre metodi di insegnamento innovativi potrebbe portare a diminuire i tempi di apprendimento? Soffermarsi anni interi nell’eseguire tecniche in maniera statica è davvero funzionale? Vogliamo parlare poi della preparazione atletica? Io sono assolutamente convinto che sia necessario integrare gli esercizi tradizionali di Aikitaiso con un adeguato programma di stretching moderno studiato appositamente per preservare il praticante. I gruppi di Aikido nei singoli dojo non sono mai troppo numerosi e dovrebbe essere possibile personalizzare il programma per ogni gruppo senza troppe difficoltà. Non è accettabile trascurare i progressi fatti nel campo delle scienze motorie per timore di intaccare le tradizioni. Quest’ultime sono un patrimonio da preservare, ma non devono essere un impedimento per progredire. L’evoluzione è un processo naturale e non va vista come un nemico: in natura sopravvive la specie chi si adatta meglio, non la più forte. Le tradizioni devono essere una base di partenza, non un punto di arrivo, se fosse stato così in passato, non esisterebbe nemmeno l’Aikido.
Vi è poi il discorso dojo, che non è certamente trascurabile; per fortuna oggi non è più possibile alzare la serranda di un box qualsiasi, appoggiare qualche tatami e via il dojo è aperto. I luoghi devono rispondere a ben specifici requisiti di abitabilità e salubrità e le associazioni sportive devono sottostare a determinate regole.
Io credo che l’Aikido abbia moltissime possibilità di poter esercitare un ruolo di primo piano nello sviluppo psicofisico delle generazioni future, a patto che gli insegnanti abbiano oltre che una preparazione tecnica adeguata, anche la voglia di riadattare questa disciplina alle esigenze delle nuove generazioni.
Un antico detto orientale cita:
Quando soffia il vento del cambiamento, qualcuno innalza muri, altri mulini a vento
Pietro Passinetti